Orticaria cronica in una paziente con immunodeficienza comune variabile: quale ruolo per l’omalizumab?

Giorgio Costagliola, Pasquale Comberiati, Niccolò Carli, Rita Consolini, Diego Peroni

UO Pediatria, Università di Pisa - E-mail: diego.peroni@unipi.it

Descriviamo il caso di una paziente di 17 anni presentatasi al nostro servizio di allergologia per orticaria cronica refrattaria ad antistaminici associata ad episodi broncostruttivi severi. In anamnesi patologica remota si segnalano una storia di infezioni ricorrenti a carico delle alte vie respiratorie ed un episodio di polmonite severa. La ragazza ha iniziato a manifestare orticaria dall’età di 10 anni, in assenza di apparenti fattori scatenanti, con frequenza ed entità degli episodi progressivamente ingravescenti, per cui ha necessitato di numerosi accessi in Pronto Soccorso e trattamento con corticosteroidi. La paziente è stata sottoposta a numerosi esami di inquadramento diagnostico per la ricerca di cause secondarie dell’orticaria (prick tests per allergeni inalanti e alimentari, esami ematochimici con screening per celiachia, tireopatie e patologie immuno-reumatologiche associate ad orticaria), evidenziando unicamente una riduzione marcata delle immunoglobuline IgG ed IgM. 

In relazione a questo riscontro e all’anamnesi di frequenti episodi infettivi, è stata inviata a valutazione immunologica, dove sono state eseguite indagini di approfondimento, confermando i ridotti livelli di immunoglobuline (IgG -3,2 DS, IgM -1,6 DS), associati a normale conta dei linfociti T CD3+ e delle principali sottopopolazioni linfocitarie, mentre la risposta ad antigeni vaccinali (anti-Hbs, anti-tetano) risultava non protettiva. La storia clinica di morbilità frequente, la riduzione dei livelli di due isotipi Ig, la risposta ad antigeni vaccinali e il fenotipo T cellulare hanno permesso di formulare la diagnosi di immunodeficienza comune variabile (IDCV), in accordo con i criteri ESID 2014 1.  La ragazza ha quindi iniziato trattamento sostitutivo con immunoglobuline per via sottocutanea in infusione settimanale, ottenendo un completo controllo degli episodi infettivi, senza tuttavia assistere ad un miglioramento del quadro di orticaria. Di conseguenza, dato il sospetto di una eziopatogenesi autoimmune dell’orticaria, sono stati eseguiti cicli di immunoglobuline per via endovenosa a dosaggio immunomodulante, con miglioramento transitorio dell’orticaria dopo ogni singolo ciclo, ma con scarsa efficacia a lungo termine, per cui la paziente ha necessitato ancora di frequenti somministrazioni di corticosteroidi. Per circa due anni la patologia è stata controllata in modo inefficace nonostante un trattamento con doppio antistaminico ad alto dosaggio e anti-leucotrienico, per cui è stata infine iniziata terapia con omalizumab (300 mg per via sottocutanea ogni 4 settimane). Dopo l’inizio dell’omalizumab si è assistito ad una rapida remissione dell’orticaria, in assenza di effetti collaterali. Dopo 6 mesi di trattamento, in accordo con le raccomandazioni attuali, è stato fatto un tentativo di sospensione del farmaco, e si è osservata una recidiva dell’orticaria, seppure di entità inferiore rispetto agli episodi descritti in precedenza. Pertanto, la paziente è stata messa nuovamente in terapia con omalizumab, che esegue stabilmente da un anno, senza aver più sperimentato orticaria e senza effetti collaterali del trattamento.

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