Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche nelle immunodeficienze primitive: analisi delle evidenze

Riccardo Castagnoli

Clinica Pediatrica, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Università di Pavia; Laboratory of Clinical Immunology and Microbiology, Division of Intramural Research, National Institute of Allergy and Infectious Diseases, National Institutes of Health, Bethesda, MD, USA

Le immunodeficienze primitive (IDP) sono patologie che, per la maggior parte, risultano da mutazioni in geni coinvolti nello sviluppo e nella funzione del sistema immunitario. Queste condizioni sono caratterizzate da una combinazione di manifestazioni quali infezioni ricorrenti, autoimmunità, linfoproliferazione, atopia e tumori. La maggioranza delle IDP è dovuta a difetti genetici intrinseci alle cellule staminali ematopoietiche. Per questo motivo, la sostituzione delle cellule mutate con cellule staminali ematopoietiche sane attraverso il trapianto rappresenta un approccio terapeutico razionale.  Inizialmente, il trapianto di cellule staminali ematopoietiche (TCSE) è stato applicato in pazienti con immunodeficienza combinata grave (severe combined immunodeficiency, SCID) come unica possibilità terapeutica per questa condizione. In passato, tale procedura era gravata da elevati tassi di mortalità e morbidità. Nel corso degli anni, l’efficacia del TCSE per IDP è significativamente migliorata grazie alla tipizzazione HLA ad alta risoluzione, all’utilizzo di differenti fonti di donatori, allo sviluppo di regimi di condizionamento a ridotta intensità e minore tossicità, e alle tecniche di manipolazione del trapianto. L’identificazione dei neonati affetti da SCID, prima dello sviluppo di complicanze infettive, attraverso i programmi di screening neonatale e una diagnosi genetica precoce attraverso le tecniche di Next Generation Sequencing (NGS) hanno ulteriormente migliorato i risultati ottenuti con TCSE. Nonostante i grandi passi avanti fatti, l’ampio spettro clinico e immunologico delle IDP rende difficile la definizione di un approccio universale e univoco che si possa applicare ad ogni singola IDP. Per questo motivo, l’integrazione delle conoscenze tra immunologi e trapiantologi è fondamentale per lo sviluppo di protocolli innovativi e per il monitoraggio della loro efficacia durante il follow-up.

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